18 Maggio 2021

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Le parassitosi gastrointestinali dei piccoli ruminanti

Le parassitosi in generale e più in particolare quelle gastrointestinali sono sempre state e permangono una problematica peculiare ed ineliminabile all’interno del settore dell’allevamento dei piccoli ruminanti, sia che l’indirizzo produttivo sia quello della carne sia che ci si occupi della filiera lattiero-casearia (Manfredi et al., 2011). A conferma di tale affermazione una ricerca parassitologica effettuata su un campione di 2.840 animali, la quale ha evidenziato una prevalenza parassitaria riconducibile specificatamente agli Strongili gastrointestinali del 84% (Cringoli G., 2003).

In molte zone collinari e montane italiane la transumanza e il pascolo caratterizzano ancora oggi molte piccole e medie aziende agricole, consentendo la conservazione delle tradizioni, dei prodotti tipici, dell’ambiente e del paesaggio. Tuttavia, l’interazione animale-ambiente può portare ad una maggiore esposizione agli endoparassiti (Roncoroni et al., 2008). I ruminanti allevati con sistema estensivo, utilizzando il pascolo nel periodo estivo, sono in generale più soggetti alle endoparassitosi rispetto ad animali della stessa specie che non lo utilizzano. È evidente che le differenti modalità di allevamento indirizzo produttivo e conseguentemente di alimentazione condizionano anche in modo sostanziale le endoparassitosi fortemente influenzate anche da squilibri nutrizionali, fattori stressanti, ecc (Garippa, 2016). Talvolta anche stalle sovraffollate possono facilitare le infestazioni ma il pascolo rimane il luogo d’elezione in cui vengono più facilmente contratti i parassiti gastrointestinali. Nella stagione invernale le forme adulte dei parassiti albergano negli animali, mentre uova e larve cercano di sopravvivere nell’ambiente esterno. Il ciclo riprende l’anno successivo sia per la quota di parassiti che è riuscita a superare la stagione invernale ma soprattutto per contaminazione dei pascoli da parte degli animali adulti.

Figura 1 – Ciclo biologico del nematode Teladorsagia circumcincta

In ragione a ciò, l’incidenza delle parassitosi gastrointestinali nelle mandrie ovi-caprine ha talvolta influito sull’organizzazione di questo sistema di allevamento, riducendo le superfici di pascolo e facendo maggior ricorso alla stabulazione.

Le consistenti trasformazioni operate nell’allevamento ovino e caprino non hanno allontanato il pericolo rappresentato dalle strongilosi gastrointestinali (SGI) che rimangono sempre le parassitosi più diffuse ed al tempo stesso le più dannose (Zajac, 2006). Esse vanno pertanto tenute costantemente sotto controllo mediante l’applicazione di oculate misure di profilassi adeguate alle peculiari condizioni di ciascun allevamento (Garippa, 2006). Il gruppo degli strongili gastrointestinali comprende diversi generi di elminti ampiamente diffusi nei piccoli ruminanti al pascolo. Le SGI possono identificare una parassitosi sostenuta contemporaneamente da diversi generi e specie di nematodi gastrointestinali (GIN, gastrointestinal nematodes) che determinano una manifestazione riconducibile ad un’unica entità di causa. E’, difatti, comune nei piccoli ruminanti la contemporanea presenza di 3-4 generi e di diverse specie che colonizzano i diversi tratti dell’apparato digerente, anche se sempre più frequentemente si osservano, elmintosi sostenute esclusivamente da un unico genere (Garippa, 2006).

L’infestazione da parte di nematodi gastrointestinali riconducibili a generi quali Teladorsagia, Haemonchus, Trichostrongylus ed Oesophagostomum, che elettivamente, a seconda della specie, si localizzano nell’abomaso e/o nei vari tratti dell’intestino, costituisce, di fatto, uno dei fattori sanitari limitanti più rilevanti nel sistema di produzione dei piccoli ruminanti con conseguenze che vanno dalla riduzione delle performances produttive alla mortalità (Sykes 1994, Waller 1999).

Lo stesso ciclo di vita accomuna in genere tutti i parassiti gastrointestinali economicamente importanti nell’allevamento dei piccoli ruminanti. In questo semplice ciclo, le femmine adulte dei parassiti producono, nell’abomaso o nell’intestino dell’ospite, uova che poi passano nelle feci. Lo sviluppo del parassita avviene all’interno della massa fecale che fornisce una certa protezione dalle condizioni ambientali. Dalle uova che si schiudono nascono le larve di primo stadio che si nutrono di batteri e vanno incontro a due mute fino a raggiungere il terzo stadio (L3) che è quello considerato infettivo. Le larve del terzo stadio si fanno strada dal materiale fecale e sul foraggio dove vengono ingerite da pecore e capre (Levine, 1980).

I Nematodirus spp sono un’eccezione al ciclo di vita descritto sopra. La lava di terzo stadio si sviluppa all’interno dell’uovo prima della schiusa (Rickard et al., 1987).

I meccanismi di patogenicità attuati dagli SGI possono essere complessi e spesso anche tra loro interdipendenti. Nella maggior parte dei casi si instaurano meccanismi patogenetici quali la riduzione dell’ingestione degli alimenti (anoressia), difetti della loro digestione e assorbimento, nonché turbe metaboliche, il tutto attuato grazie a delle azioni traumatiche, chimiche ed immuno-mediate (Scala, 2014).

Le azioni patogene svolte dagli SGI possono essere così elencate (Lia, 2001):

  • Ematofagia: alcuni strongilidi gastro-intestinali sono ematofagi come Bunostomum phlebotomum e Haemonchus spp.; oltre alle forme adulte, anche le larve sottraggono sangue e proteine (albumina plasmatica) al loro ospite;
  • Chimofagia: sottraendo chimo svolgono un’azione poco rilevante dal punto di vista quantitativo; tuttavia essendo tale azione selettiva, riveste una grande importanza sotto il profilo qualitativo perché si esercita su elementi nutritivi essenziali e può risultare dannosa per l’ospite a causa del metabolismo protidico, glucidico, lipidico, minerale e vitaminico;
  • Alterazioni del metabolismo protidico: tra gli strongilidi dell’abomaso, Ostertagia spp. determina modificazioni delle secrezioni, in particolare dell’HCl, con conseguenti variazioni del pH. Ciò limita l’azione degli enzimi proteolitici, la produzione e l’attivazione del pepsinogeno; le cellule della parete, secernenti acido cloridrico, sono sostituite da cellule indifferenziate che si replicano rapidamente e che non producono acido. Le infestazioni massive, con 40.000 o più parassiti adulti, provocano una diminuzione dell’acidità dei fluidi abomasali che può passare da un pH 2 fino ad un pH 7, favoriscono la pullulazione batterica e quindi la comparsa di diarrea (Euzeby, 1975);
  • Alterazioni del metabolismo glucidico: sottraggono fosforo, con conseguente “ipofosfatemia”, provocando inibizione del catabolismo dei glucidi e quindi iperglicemia (Euzeby, 1975). Le lesioni a carico dell’intestino riducono notevolmente il tasso della maltasi. la bassa concentrazione della maltasi è responsabile della riduzione della quantità di lattosio nel latte (Mc Donald, 1992);
  • Alterazioni del metabolismo lipidico: in pecore gravide gravemente parassitate sono stati osservati fenomeni di chetosi, dovuti alla presenza di corpi chetonici nei tessuti e nei liquidi organici;
  • Alterazione del metabolismo vitaminico: Bunostomum phlebotomum e O. ostertagi inibiscono la trasformazione del beta-carotene in vitamina A; Haemonchus spp. necessita, per il suo accrescimento, di ferro e di cobalto (indispensabile per la sintesi microbica della vitamina B12), la cui carenza può determinare fenomeni anemici, alterazioni dello sviluppo del feto e sterilità (Arru e Pau, 1994).

Questi parassiti inoltre provocano lesioni più o meno gravi nelle sedi di localizzazione, soprattutto durante la fase di colonizzazione. La gravità dei danni è legata alle specie ed alla carica parassitaria. Nei casi più gravi l’abomaso e l’intestino sono in preda a fenomeni infiammatori con catarro o lesioni emorragiche molto gravi, soprattutto nei giovanissimi animali, che di conseguenza non mangiano, presentano diarrea fetida, sete intensa, forte anemia e dimagrimento. Gli agnelli possono essere soggetti ad una perdita di peso dal 12 al 25%. Si riscontra riduzione della fertilità e aumento anche elevato della mortalità (Cringoli, 2003).

Il test preliminare per la diagnosi SGI è la procedura di flottazione fecale per l’individuazione delle uova dei parassiti. I generi di nematodi strongilidi producono uova che hanno un aspetto simile e non possono essere facilmente discriminati con questa procedura con la quale sono identificati in termini generali come uova di strongilidi o tricostrongilidi (Zajac, 2006).

Figura 2– Sinistra: Uova di SGI in feci ovine. Destra: uova e larve di Oesophagostomum

Benché siano disponibili nuove possibilità diagnostiche basate su sierologia, genetica, genomica, metagenomica, proteomica e bioinformatica, l’esame copromicroscopico è a tutt’oggi l’approccio diagnostico più largamente utilizzato in parassitologia medica e medico veterinaria (Roeber et al., 2013). Molto opportuna è la copromicroscopia quantitativa (Faecal Egg Count – FEC) che consente la conta degli elementi parassitari (EP) espressa come uova per grammo di feci (UPG), larve per grammo di feci (LPG), oocisti per grammo di feci (OPG) e cisti per grammo di feci (CPG) (Cringoli et al., 2010). Il FEC può essere utilizzato anche in animali giovani come strumento di selezione genetica per la resistenza ai SGI concetto sempre più considerato e oggetto di ricerca date le perdite economiche a cui vanno in contro gli allevamenti (Zajac, 2006).

In questi ultimi anni sono state introdotte le tecniche FLOTAC, tecniche multivalenti, altamente sensibili ed accurate, ampiamente validate dalla comunità scientifica internazionale, come testimoniato da diversi lavori su riviste nazionali ed internazionali (Cringoli et al., 2010). Queste tecniche stanno progressivamente sostituendo le tecniche tradizionali (flottazione in provetta, sedimentazione, McMaster, Wisconsin e Baermann) e nei piccoli ruminanti permettono di individuare gli EP di almeno 22 parassiti differenti nei piccoli ruminanti. La sensibilità analitica è molto elevata consentendo la conta diretta degli EP anche in un grammo di feci: l’unità internazionale di misura della vFEC (Cringoli e Bosco, 2016).  Una nuova versione di queste tecniche (Mini-FLOTAC technique) è particolarmente indicata per la diagnosi delle infezioni da nematodi e protozoi direttamente in allevamento (Cringoli et al., 2013, Bosco et al., 2016).

Molteplici studi hanno analizzato le perdite produttive e quindi economiche provocate dalle infestazioni gastrointestinali.

In ambito europeo, le perdite relative alla produzione di latte riconducibile agli effetti del parassitismo variano tra il 2,5% ed il 18,5% a seconda del contesto di allevamento. Parallelamente ad un calo produttivo inteso come minore quantità di latte prodotto nel corso della lattazione e, più a lungo termine, in tutta la carriera produttiva (Hoste et al., 2005), è stato notato anche un peggioramento sostanziale nelle caratteristiche compositive del latte, rilevando un calo del tenore di grasso (29,9%), di quello di proteina (23,3%) e di lattosio (19,6%) (Rinaldi et al., 2007).

In Italia i parassiti sono responsabili, a livello nazionale, del 6% delle perdite economiche in ambito agricolo. È stato stimato che, nella pecora e nella capra, i parassiti sono coinvolti nell’80% delle patologie osservate (Torina et al., 2004).

In Lombardia è stata effettuata un’indagine sull’incidenza delle infestazioni da strongili gastrointestinali e perdita di latte in 391 capre di razza Camosciata, nera di Verzasca e Saanen. Sul campione di animali preso in esame 216 capre hanno rilevato un elevato parassitismo e per le stesse sono state evidenziate riduzioni significative di produzione effettiva di latte e della durata del periodo di lattazione (Manfredi et al., 2011).

Figura 3 – Confronto tra durata della lattazione (giorni) e produzione

La lotta alle parassitosi gastroenteriche ovine si è per lungo tempo basata esclusivamente sull’impiego di sostanze chimiche di sintesi, che in molti casi si sono dimostrate tutt’altro che rispondenti al modello di farmaco ideale, sia per il loro impatto ambientale che per l’efficacia sul campo. Fra i rischi potenzialmente associati al trattamento chimico delle parassitosi, possono annoverarsi gli effetti collaterali immediati, la resistenza degli organismi bersaglio, la necessità di ripetere sempre più frequentemente i trattamenti con potenziale accumulo dei residui e, non per ultimo, la contaminazione della catena alimentare (USDA National Organic Program, 1998).

Sta di fatto che l’efficace controllo delle endoparassitosi non può basarsi esclusivamente sulla profilasi ambientale né tantomeno sull’uso degli antielmintici, ma è un processo lungo e complesso fondato sull’oculato uso delle differenti risorse disponibili adattate alle peculiari condizioni climatiche geopedologiche e gestionali dell’allevamento. Troppo spesso il controllo delle endoparassitosi, e soprattutto delle SGI, viene delegato in via esclusiva ai farmaci antiparassitari. Nel lungo termine l’indiscriminato utilizzo dei chemioterapici può portare, anche nel nostro paese, alla diffusione di fenomeni di farmacoresistenza con conseguente futura compromissione dell’efficacia delle principali classi di antielmintici (Garippa, 2016).

I metodi convenzionali dei trattamenti antielmintici prevedono il trattamento di tutto il gregge, ma il sempre più grave problema dell’antielmintico resistenza ha fatto sì che questo tipo profilassi venisse sostituita da trattamenti selettivi mirati (TST) dove solo gli animali con sintomatologia clinica o diminuzione delle produzioni vengono trattati. Ciò in considerazione del fatto che le popolazioni di nematodi gastrointestinali sono altamente aggregate e sovradisperse per cui approssimativamente l’80% dei parassiti si concentra nel 20-30% degli ospiti. (Rinaldi et al., 2007).

Diverse prove controllate di campo condotte nel sud Italia hanno dimostrato che una strategia basata su due trattamenti all’anno (Targeted Treatments – TT) nel periodo del peri-parto e durante la lattazione ha migliorato la produzione di latte (dal 4% al 44%) in ovini naturalmente parassitati da SGI (Cringoli et al., 2007, 2008).

Inoltre, dobbiamo considerare anche che gli SGI tendono ad interagire con l’ospite, il quale è dotato nei confronti del parassita di una “resistenza”, cioè dell’attitudine ereditaria a sviluppare meccanismi che ne limitano lo sviluppo e quindi anche l’azione patogena. Tale resistenza, in quanto ereditaria, può essere peraltro inserita nei piani di selezione genetica dei piccoli ruminanti, ed esercitare la sua influenza a vari livelli del ciclo biologico di questi nematodi, limitando ad esempio il tasso di “installazione” delle larve L3, il tasso e la velocità di sviluppo degli stadi larvali in adulti, il tasso di sopravvivenza degli adulti e la prolificità delle femmine (Scala, 2014).

Uno studio condotto da Giuliotti et al., 2003 su ovini di razza Massese conferma l’esistenza di una base genetica di questa resistenza. Lo scopo della ricerca è stato quello di valutare i coefficienti di ereditabilità e ripetibilità dei principali caratteri fenotipici legati alla resistenza alle strongilosi gastrointestinali: conta fecale di uova ed ematocrito. La stima dei parametri genetici ha fatto osservare un più elevato coefficiente di ereditabilità per l’ematocrito rispetto all’escrezione fecale di uova (0.22 vs 0.10). Per quanto riguarda invece il coefficiente di ripetibilità la stima ha fornito valori rispettivamente pari a 0.58 e 0.16.

Le stime di ereditabilità per la resistenza alle infezioni gastrointestinali da nematodi, valutata utilizzando il FEC come indicatore indiretto, variano da 0.01 a 0.65. Un esempio eccellente di selezione a favore della resistenza alle infezioni gastrointestinali da nematodi ci arriva dall’Australia, dove dopo 15 anni di selezione, è stata ottenuta una riduzione del FEC di circa l’80% (Kemper et al., 2010).

Quindi, la selezione per la resistenza alle infezioni gastrointestinali da nematodi si basa solitamente sull’utilizzo del contenuto di uova nelle feci (FEC), come indicatore indiretto. Sebbene ampiamente utilizzate per la diagnosi di parassiti intestinali, è anche ben noto che le tecniche FEC siano soggette ad una serie di fattori da tenere in considerazione per una corretta interpretazione dei risultati (Riggio, 2016).

Lo studio della resistenza genetica ai SGI nei piccoli ruminanti si inserisce a pieno titolo nel quadro di una gestione eco-compatibile e integrata di una delle patologie più diffuse in questo tipo di allevamento.

È ragionevole pensare che l’adozione di tecniche nuove, più sofisticate, possa dare più sicurezza nell’acquisizione di informazioni validate e possa permettere un’analisi più precisa portando la selezione genetica uno step in avanti per quanto riguarda la resistenza ai parassiti gastrointestinali. 

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