A cura del ConSDABI
Nel rapporto fra ambiente, società e sviluppo sta facendosi sempre più impellente l’esigenza di una profonda revisione del concetto di relazionismo fra cittadino e territorio che lo ospita. Il distacco, reale o più o meno presunto, è una deriva che viene accentuata dal progressivo processo di globalizzazione in atto, per cui si ha la sensazione che il cittadino abiti sul pianeta Terra e non su un determinato territorio nel quale egli esplica la quasi totalità della sua attività quotidiana.
Il concetto di agorà tende a essere sostituito da quello di ‘Cyber Urbes’, nella quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo ‘geo-psichico’ e ‘culturale’ con il territorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale e dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato territorio.
È indubbiamente da non condividere la tendenza di alcune ‘società opulente’, ma prive di tradizione, a realizzare vere e proprie città ‘clonate’. In questa città vi sarà sempre di più un’accentuazione degli esclusi (‘drop-outs’) e dell’edonismo individuale della ‘middle class’. Quest’ultima, però, sarà sempre più incline a massimizzare una visione urbanistica da ‘parco’ teleologicamente orientata a un vero e proprio ‘centro’ di produzione di ‘mero profitto’.
In altre parole, questa concezione viene a coincidere con quella disneyana che viene anche definita ‘esapolis’. L’‘esapolis’ comporterà, di conseguenza, l’abbandono dei centri storici così ricchi di cultura, di vitalità, di saggezza e di continuo contatto umano. A nulla vale il prevedere nella progettazione della ‘cyber urbes’ una pluralità di stili architettonici nell’illusione che il polimorfismo umano (anche biologico) possa trovare la pienezza della sua soddisfazione spirituale in uno spazio urbano ripetibile all’infinito sul pianeta Terra.
Effetto di ciò è il progredire di una nuova cultura mirante a progettare a tavolino la ‘cibercittà’ clonata che può essere realizzata puntualmente ovunque e in qualsiasi momento, al fine di ottenere solamente un ‘uomo-consumatore’, anch’egli clonato psichicamente.
Con la concezione ‘classica’ dell’economia, il lavoro e il mercato sono considerati le ‘vere fonti della ricchezza’ di una nazione, per cui il territorio viene ‘dimezzato’, cioè diviso fra attività agricola e attività manifatturiera: la prima viene considerata sempre importante ai fini di dovere fornire prodotti alimentari (in genere) per l’uomo.
Con la concezione economica ‘liberistica’ di Schümpeter e/o ‘interventistica’ statale di Keynes il territorio diventa ‘inesistente’; quindi esso può essere usato senza vincoli o per soddisfare l’espansivo fenomeno dell’urbanizzazione ‘tout court’. Il rapporto ‘uomo-natura’ non può sfuggire alle logiche evolutive del sistema socioeconomico. Queste logiche possono essere raggruppate in tre ampie ‘categorie’:
(a) logica di crescita
(b) logica di sviluppo ‘tout-court’
(c) logica di sviluppo sostenibile.
La logica di crescita è caratterizzata, prevalentemente, da un aumento quantitativo di beni e di servizi. Essa persegue una finalità: espansione indefinita delle attività antropiche nel convincimento dell’infinita disponibilità di risorse e dell’insaziabilità dei bisogni umani. Pertanto, questa logica ignora qualsiasi attuazione di iniziative per la salvaguardia delle risorse naturali.
La logica dello sviluppo si identifica con un sistema socio-economico, dinamico temporalmente e spazialmente, su base di una forte razionalizzazione del sistema produttivo. Questa razionalizzazione deve concretizzarsi nell’evitare sia lo spreco di risorse che la sottoutilizzazione delle stesse.
La logica di sviluppo sostenibile incorpora tre ‘dimensioni’ (obiettivi) fondamentali che devono interagire fra di loro: economica, sociale ed ecologica.
Pertanto, la sostenibilità consiste nell’armonizzare, in un equilibrio dinamico, le ‘forze’ eterogenee e conflittuali identificabili con: l’efficienza, la crescita e la stabilità nella dimensione economica; la povertà, l’equità intergenerazionale e la cultura nella dimensione sociale; la biodiversità, la resilienza e l’inquinamento delle risorse naturali nella dimensione ecologica. Specialmente nei riguardi della dimensione ecologica, grande importanza riveste l’effetto ‘inquinamento’ delle risorse naturali, attribuibile particolarmente al fattore antropico.
Tuttavia, la sostenibilità economica e sociale di una “bioregione” andrebbe opportunamente stimata per poter esprimere valutazioni, le meno errate, sul potenziale produttivo sia per singola attività privatistica che per l’intera filiera. In altre parole, andrebbe, di volta in volta, stimato il cosiddetto “valore aggiunto territoriale” (VAT), che potrebbe essere determinato come differenza tra il valore “prima” e quello “dopo” l’attuazione di determinati interventi. Ai fini del miglioramento del ‘benessere dell’uomo’ [Human Welfare State (HWS) e Wellbeing] specialmente nel lungo periodo, la logica dello sviluppo ‘sostenibile’ è da perseguire, purché si raggiungano accettabili livelli di armonizzazione fra le suddette tre dimensioni.