a cura di: Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani, Loc. La Quercia, 26027, Rivolta d’Adda (CR), Italy
Biodiversità è un termine che indica la varietà di forme viventi che popolano un territorio. L’Ecologia, disciplina che integra le scienze della terra e della vita, ne approfondisce il concetto suddividendolo in tre livelli: la diversità di specie indica il numero di piante, animali e microrganismi che popolano un areale; la diversità genetica i geni che esse contengono; mentre la diversità di ecosistemi denota la varietà di ambienti naturali.
Tutt’altro che astratta, la biodiversità fornisce tutta una serie di servizi eco-sistemici che permettono di condurre la nostra vita respirando aria ben ossigenata, bevendo acqua potabile, concedendoci l’accesso a cibo di qualità e regalandoci svago e benessere immersi nella bellezza della natura. Chiarito ciò, non è difficile comprendere quale sia l’immensa ricchezza di biodiversità che l’Italia può vantare. Basti pensare alle eccellenze del nostro comparto enogastronomico, che ne sono la massima espressione.
Se questo è vero, lo dobbiamo in grandissima parte al lavoro di chi negli anni ha saputo generare tanta biodiversità anche, ed in maniera più che rilevante, nella nostra zootecnia, promuovendo un importante patrimonio di progresso genetico delle razze allevate dalle quali vengono derivati i prodotti che il mondo ci invidia.
Supportata da scelte globali che hanno riconosciuto il valore della biodiversità e la necessità di preservarla anche in ambito zootecnico, come avvenuto nel 1972 a Stoccolma durante la conferenza sull’ambiente delle Nazioni Unite ed in seguito sottoscritto nel 1992 dai principali paesi del mondo tramite la “Convenzione sulla diversità biologica (CDB)” di Rio de Janeiro, la difesa della biodiversità zootecnica è anche in Italia priorità dei nostri governi.
In particolare, le strategie messe in atto in difesa delle razze autoctone minacciate dai cambiamenti climatici e dall’eccessivo inbreeding conseguente ai continui incroci tra consanguinei si sono evolute dall’iniziale approccio “in vivo”, che offriva sostegni economici agli allevatori che accettassero di mantenere i propri capi all’interno dei loro habitat, ad un secondo modello nel quale era consentito l’allevamento anche al di fuori dei territori naturali, fino ai più recenti programmi “ex vivo” di protezione di solo materiale biologico tramite la creazione di criobanche di germoplasma sostenute dalle più innovative tecnologie. Una volta svincolato l’allevatore dal farsi carico quale unico protagonista di un’opera di salvaguardia così gravosa, il germoplasma conservato può garantire la diversità genetica e portare alla sua ricostituzione in caso di pericolo tramite il ripristino della linea conservata.
Per gli animali sono disponibili molti percorsi con vantaggi e svantaggi legati ai costi per la raccolta di germoplasma, trattamento, conservazione e suo futuro utilizzo, tenendo conto che non tutte le tecniche funzionano allo stesso modo su differenti specie o razze. Sono infatti molteplici i fattori fisiologici che determinano la qualità dei differenti tipi di germoplasma come la stagionalità, lo stato di salute ed età del soggetto, cosi come il loro potenziale uso futuro.
Se da un lato la crioconservazione del seme resta la prima tecnologia riproduttiva per garanzia dei risultati, bisogna tenere presente che il ripopolamento di una linea, qualora non fosse disponibile l’omologo componente femminile della stessa razza, potrebbe richiedere l’utilizzo iniziale del seme con femmine o ovociti appartenenti ad una popolazione diversa, seguito da diverse generazioni di reincrocio per ricostituire una linea quasi geneticamente pura.
Lo stesso concetto vale per gli ovociti, anche se in questo caso il reincrocio effettuato dopo l’utilizzo di seme di altre razze porterebbe alla perdita inevitabile del patrimonio genetico del cromosoma y maschile. Per quanto riguarda la crioconservazione degli ovociti, il congelamento lento e la vitrificazione sono entrambe opzioni percorribili, tenuti in considerazione le proprietà di questa tipologia di cellula quali l’elevato rapporto superficie/volume o permeabilità ai crioprotettori.
Per gli embrioni, il congelamento lento è stato utilizzato con successo nei ruminanti, mentre gli embrioni equini prodotti e raccolti in vivo mediante flushing o in vitro (dopo OPU e ICSI) possono essere stoccati sia dopo congelamento lento che vitrificazione di blastocisti di piccole dimensioni. Nel suino, infine, la vitrificazione rappresenta un’interessante prospettiva per la crioconservazione di embrioni allo stadio di morula, blastociste e addirittura di zigote che possono essere ottenuti sia in vivo che in vitro.
Pertanto, promuovere l’attività di conservazione delle nostre razze autoctone a rischio di estinzione tramite la stretta collaborazione tra allevatori e mondo della ricerca significa difendere un prezioso patrimonio di variabilità e progresso genetico a sostegno di tradizioni agroalimentari locali, anche legate ad aree marginali, appartenenti all’intera comunità.