a cura di: Associazione Italiana Allevatori
Nell’ “excursus” tra le razze caprine rustiche autoctone calabresi, anche ai fini di una conservazione e valorizzazione di particolari caratteristiche genetiche e genomiche e per scopi di tutela della biodiversità, una particolare attenzione merita la capra Rustica di Calabria. Se per la Nicastrese (e anche per la Aspromontana) si deve ricorrere ai lavori svolti in periodi recenti da Asso.Na.Pa. (Associazione Nazionale della Pastorizia) in collaborazione con Ara Calabria, che da sempre con passione si dedicano allo studio e alla raccolta di informazioni, anche storiche, sulle razze caprine locali, per la Capra Rustica di Calabria può esser utile per chi volesse in maniera immediata e con il supporto di una nutrita serie di immagini farsi una idea di questa razza, consultare il volumetto realizzato dal dott. Vincenzo Sauro (edizioni LibrAre) titolato semplicemente “La Capra Rustica di Calabria”.
Con la prefazione del prof. Rocco Gallo, in poco meno di cento pagine Vincenzo Sauro ripercorre con chiarezza già dal primo capitoletto la storia del rapporto plurimillenario tra le capre e l’uomo, evidenziando anche come nella popolazione caprina italiana “ben raramente è possibile individuare delle vere razze aventi caratteri tipici e costanti”. Restando all’Italia meridionale e insulare si trovano accentuati caratteri di razze di tipo mediterraneo e asiatico che, specifica Sauro, sono “dovuti a tecniche di meticciamento casuale applicato nei secoli”. Interessante considerare, nella storia dell’evoluzione del patrimonio ovicaprino, per capire meglio come si giunge alle capre attuali, considerare il ruolo che hanno avuto sia le pecore e sia l’elemento bosco. Importante è anche il fattore umano: dopo la domesticazione – ricorda l’autore – “l’allevamento della capra procede in parallelo con quello della pecora”, capre e pecore si influenzano reciprocamente. “Attraverso i secoli le due specie caprina e ovina si sorpassano quantitativamente e a vicenda a seconda dell’orografia del territorio e degli usi e costumi della popolazione umana”. Un chiaro esempio di ciò, citato da Sauro, sarebbe accaduto durante il periodo dell’antica Roma, durante il quale “la capra subisce persino dei cambiamenti morfologici (nella mole e nella perdita delle corna) e la sua carne viene preferita a quella degli ovini e dei vaccini. A partire dalla caduta dell’impero romano la quantità di animali allevati precipita notevolmente fino a raggiungere livelli assai bassi in periodo medievale”. Un salto importante, infatti, si ha poi nel basso Medioevo, in coincidenza con una certa ripresa delle attività agricole in generale (è da considerare che guerre e pestilenze, e conseguenti carestie, abbiano creato, per secoli, un freno alle attività primarie dell’uomo) tra le quali una impennata della produzione di lane e, quindi, un aumento dei terreni dedicati al pascolo (più per gli ovini, e quindi si ipotizza una restrizione degli spazi riservati ai caprini). Un processo che si fa risalire fino a quasi tutto l’Ottocento ed ai primi decenni del secolo successivo, accompagnato dalla credenza diffusa che il pascolamento caprino “rovinasse” i campi. La “fortuna” delle capre deriva dalle virtù del latte, considerato ottimale per caratteristiche nutraceutiche (e quindi, si può ipotizzare, anche come sostitutivo del latte umano in caso di intolleranze o scarsità). Per avere una certa rivitalizzazione dell’allevamento caprino in Italia si dovrà attendere ben oltre il secondo dopoguerra, a cavallo cioè degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso.
Molto interessante la seppur breve narrazione della “microeconomia” sviluppata in Calabria con il latte caprino,confermata da evidenze archeologiche che risalgono addirittura al Pliocene (ovvero 10 mila anni avanti Cristo!), e non da meno altre testimonianze storiche inerenti la tipologia dell’allevamento caprino nel Centro-Sud Italia, ed in specie in Calabria, con ricche documentazioni fotografiche e spiegazioni del sistema di transumanza “orizzontale” praticata nel territorio calabrese (spostamento dei capi dalle zone più elevate a quote più favoreli durante l’inverno).
Al di là dell’apprezzabilissimo lavoro di Vincenzo Sauro, vale la pena segnalare alcune altre informazioni attuali sull’allevamento e le caratteristiche della Capra Rustica di Calabria: questi caprini sono allevati con un sistema di tipo semibrado estensivo, utilizzando al meglio i prati-pascoli naturali delle zone montane, ricchi di produzioni erbacee tipiche della cosiddetta macchia mediterranea ed in genere disponibili durante l’arco di tutto l’anno, con previsione di integrazione mediante fieno e cereali nella stagione invernale, ove ritenuto necessario dagli allevatori.
Per quanto riguarda la morfologia, la Capra Rustica di Calabria presenta un mantello molto eterogeneo, con sfumature e tonalità diverse che vanno dal bruno, al bianco-nero o rosso-bianco, nella maggior parte dei casi monocolore con prevalenza del mantello nero, con leggere sfumature. Come detto nella parte storica, il “meticciamento” probabilmente risente del contributo di altre razze quali la Maltese, la Derivata di Siria e la Garganica, nella formazione della attuale popolazione.
La diffusione della Capra Rustica di Calabria coinvolge pressochè tutte le province, in prevalenza quella di Cosenza (circa un centinaio di allevamenti, fonte dati Asso.Na.Pa.), seguìta da Catanzaro, Crotone e Reggio Calabria. Il totale dei capi iscritti al Registro di razza supera le 12 mila unità, sempre secondo gli ultimi dati disponibili.
Tra gli altri caratteri morfologici, si evidenzia testa piccola e leggera nei soggetti femminili e più grande nei maschi, con presenza di corna e barbe in entrambi i sessi. Particolarità delle corna sono la forma “a lira aperta” spesso piatta e larga alla base nelle femmine, mentre nei maschi appaiono più sviluppate e lunghe. Le orecchie sono in prevalenza corte, di dimensioni medie, hanno un portamento orizzontale a “foglia di ulivo”. Maschi e femmine sono di taglia media, le altezze al garrese sono 75-80 centimetri per i maschi e 60 cm per le femmine, i pesi variano dai 65-70 kg per i maschi ai 45-50 per le femmine.
Per i caratteri produttivi, la Capra Rustica di Calabria si annovera tra le razze a duplice attitudine (carne e latte). Le capre possono produrre attorno ai 200 litri in una lattazione, ed il latte prodotto è prevalentemente destinato alla realizzazione di formaggi tipici a coagulazione presamica, come ad esempio la Felciata (o Filiciata) di Calabria, il Paddaccio, la Giuncata di capra, il Formaggio di capra, il Canestrato, o le ricotte.
Il capretto, alla nascita, pesa attorno ai 3 kg, il peso medio alla macellazione è attorno ai 7-8 kg. Solitamente, le capre partoriscono una volta all’anno, e le nascite avvengono in inverno ed in primavera.
Il cane da guardiania per eccelllenza, utilizzato dagli allevatori calabresi è il cane da Pastore della Sila, decisamente molto più funzionale delle altre razze canine per i territori impervi dell’altopiano silano.
Le immagini allegate a questa nota sono per gentile concessione del dott. Vincenzo Sauro. Per altri approfondimenti sulla Capra Rustica di Calabria si può contattare l’Asso.Na.Pa. (direzione@assonapa.it)