30 Marzo 2022

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5 strategie di mitigazione delle emissioni in allevamento

AIA

Gli allevatori sono sempre più attenti al tema delle emissioni in atmosfera e sono consapevoli che una buona parte delle azioni di mitigazione partono proprio dalle loro buone pratiche di allevamento. Le strategie di riduzione delle emissioni in zootecnia mirano principalmente a intervenire sulle emissioni di metano e sul contenimento dell’ammoniaca, le due principali criticità dei sistemi di allevamento – in particolare per i bovini da latte, che rappresentano il settore zootecnico a cui si attribuisce un maggior peso in termini percentuali (più del 50%).

Molte altre strategie sono state studiate e validate e possono essere applicate in azienda per ridurre i gas serra e migliorare le condizioni di salute e benessere degli operatori, degli animali e dell’ambiente, ottenendo anche un miglioramento delle performance produttive e riproduttive degli animali. Partiremo proprio da cosa si può fare concretamente per ridurre l’impatto degli allevamenti e contribuire a modificare quella narrazione che vuole la zootecnia tra i principali responsabili dell’inquinamento e del riscaldamento globale.  Si deve però trovare un equilibrio e ponderare bene le azioni da adottare, perché spesso sono in contrasto con altre esigenze relativamente a tematiche che rappresentano una sfida per il nostro pianeta.

Le tecnologie per effettuare un monitoraggio costante ed efficiente delle emissioni aziendali sono oggi disponibili e di facile accesso. Il Progetto LEO può dare un grande contributo alla definizione delle strategie aziendali attraverso la grande quantità di dati zootecnici, sanitari e ambientali che costituirà la banca dati open fruibile da tutti gli operatori del settore.

  1. Selezione genetica

Una delle principali strategie di mitigazione è allevare animali molto produttivi, quindi avere in stalla capi ad alto valore genetico per produzione di latte. Una vacca con una media produttiva di 40 kg al giorno (ossia una vacca da 12.2t/anno) produce all’incirca 148 kg di metano l’anno (11.7 g CH4/kg latte). Per produrre lo stesso quantitativo di latte ci vorrebbero due vacche con produzione media di 20 kg al giorno, con una emissione totale di 234 kg di metano l’anno (18.6 g CH4/kg latte), ottenendo un aumento del 58% di emissioni per ricavare lo stesso quantitativo di prodotto (Crovetto, 2013).

Allevare vacche molto produttive diventa quindi una strategia di mitigazione delle emissioni. Spingere però verso allevamenti altamente produttivi contrasta con le strategie di conservazione della biodiversità e promozione delle razze autoctone locali che hanno, invece, produzioni molto più contenute: tutte sotto le 6t/anno, alcune non arrivano neanche a 3t.

Gli studi che mostrano la significativa correlazione tra assunzione di mangime ed emissione di metano enterico (De Haas et al., 2017; Richardson et al., 2019) sono stati fondamentali per iniziare appositi piani di selezione genetica nelle bovine da latte. Nel 2020, l’International Commettee for Animal Recording -ICAR- ha pubblicato le linee guida per la valutazione genetica delle vacche da latte per il carattere emissione di metano. Diversi studi dimostrano che i caratteri legati all’emissione di metano sono ereditabili e che ci sono basi genetiche di trasmissione su cui lavorare.

L’obiettivo è quello di classificare gli animali in base alla emissione di CH4, quindi impostare piani di selezione per avere una popolazione con una maggiore efficienza alimentare e minore produzione di metano enterico (ICAR, 2020).  Ne consegue che i programmi di selezione genetica hanno un’attenzione sempre maggiore per l’efficienza alimentare e la riduzione delle emissioni ambientali di azoto, minerali e metano (Georgofili, 2021).

  • Migliore gestione della stalla

Il miglioramento dei parametri zootecnici aiuta in generale il miglioramento della produttività e quindi la riduzione delle emissioni. Diminuire i periodi non produttivi in stalla (aumentare il numero di lattazioni per vacca, abbassare l’età al primo parto e ridurre l’interparto attraverso il miglioramento della fertilità) può essere considerata di per sé una strategia di mitigazione. Migliorare la sanità e ridurre la mortalità (specialmente per alcune specie) consentirebbe inoltre di allevare meno animali con una conseguente riduzione di emissioni.

  • Gestione della dieta, delle deiezioni e degli spandimenti

Altre buone pratiche che vengono adottate per la riduzione delle emissioni di metano riguardano la dieta, la gestione delle deiezioni e degli spandimenti. Molti studi ormai consolidati hanno messo in relazione la possibilità di modificare la composizione della razione per ottenere una riduzione del metano enterico, grazie soprattutto alla possibilità di migliorare l’efficienza ruminale (Knapp et al., 2014) con una conseguente riduzione delle emissioni di CH4 (Jolien et al., 2005).

In questa strategia rientrano modifiche della composizione della razione, utilizzo di additivi (estratti di aglio, cannella o agrumi) o di elementi che modifichino direttamente l’ambiente ruminale. Molta della ricerca scientifica è concentrata sulla misurazione delle emissioni enteriche in funzione dei singoli alimenti da aggiungere alla dieta, in modo da poterli classificare anche in base a questa caratteristica fornendo un valido aiuto alla scelta dei componenti della razione, arrivando ad una riduzione fino all’80% in base ai risultati di uno studio sull’alimentazione con alghe di mare (Roque et al. 2021).

In genere un aumento dei concentrati nella razione diminuisce la quantità di metano enterico emesso. Bisogna però trovare il giusto equilibrio e stare attenti a non provocare problemi metabolici come acidosi ruminale, compromettendo il benessere animale. La diffusione di tecniche di precision feeding è certamente un valido aiuto per aumentare l’efficienza alimentare di ogni singola vacca in base alle specifiche esigenze, ottenendo anche una riduzione della quantità delle deiezioni.

Per quanto riguarda la gestione delle deiezioni e lo spandimento sui terreni, la normativa vigente è molto chiara e tende ad evitare contaminazioni del terreno e delle falde. La gestione degli stoccaggi e del metodo di spandimento, però, deve essere fatta dall’allevatore in modo consapevole partendo dalla conoscenza di quale contributo ogni azione dà alla riduzione delle emissioni (tabella 1 e 2).

Tabella 1. Percentuale di riduzione di emissioni per tipologia di stoccaggio.

Tabella 2. Percentuale di riduzione di emissioni per tipologia di spandimento.

  • Aree verdi e alberi

Fra le buone pratiche rientrano anche le attività di compensazione attraverso la gestione di zone verdi e boschive. Molto interessante è quella dei sistemi integrati agro-silvo-pastorali, anche per gli allevamenti intensivi di bovini da latte, che consentono sistemi di allevamento più sostenibili con una virtuosa integrazione del ciclo biogenico del carbonio (Mele et al., Event at EXPO 2015). Questi sistemi però, come tutti i pascoli aperti, non sono ideali per la gestione delle deiezioni e sono quindi adatti a terreni meno vulnerabili.

Il sistema silvopastorale è un sistema sinergico e ha quindi bisogno di conoscenze multiple e di una notevole conoscenza del territorio su cui si vuole lavorare. Questa non è una questione legata solo al clima, ma anche all’adattamento al territorio ed al terreno, alle specie animali che si vogliono allevare e anche alle specie arboree che si vogliono utilizzare. Il sistema va implementato e studiato nella sua interezza, approfondendo le relazioni che intercorrono tra gli elementi con un approccio transdisciplinare.

Tra le buone pratiche è bene sempre ricordare il divieto di accendere fuochi e provocare incendi, non solo perché è pericoloso e può sfuggire dal controllo, ma anche perché è fonte di rilascio di azoto che viene imputata ogni anno al settore agricolo, aggravando il computo anche a carico degli allevamenti. A ciascun ettaro bruciato viene attribuito un quantitativo di rilascio di azoto in base ai coefficienti di calcolo utilizzati da ISPRA (kg N ha/anno), a seconda del tipo di ecosistema (foresta boreale, conifere, foresta mediterranea, pascoli) che va da 0,2 a 5 kg/ha/anno. Nell’inventario delle emissioni pubblicato dall’ISPRA nel 2021, riferito ai dati del 2019, circa lo 0.1% delle emissioni agricole è dovuta agli incendi.

Uno studio molto importante di Johan Rockström, direttore dello Stockholm Resilience Centre e professore di Sistemi idrici e sostenibilità globale all’Università di Stoccolma, ha analizzato tutti i punti critici della presenza dell’uomo sul nostro pianeta e ha individuato tra le strategie vincenti la conservazione e l’incremento del numero di alberi in generale. Il settore agricolo può dunque modificare alcune pratiche di allevamento e contribuire in modo importante al ripopolamento delle foreste.

  • Utilizzo di energia rinnovabile

L’agricoltura da sempre ha sfruttato energie disponibili come il vento o l’acqua per alimentare i vari sistemi aziendali. Esistono in montagna aziende agricole che hanno impiantato micro-centrali idroelettriche per il loro fabbisogno energetico, e la spinta verso l’utilizzo di energie non fossili diventa sempre più un’esigenza strategica.

Si stanno diffondendo dei sistemi di produzione di energia denominati agrivoltaici, quei sistemi cioè che lasciano spazio sufficiente alle lavorazioni agricole anche con grandi macchinari e che vedono le installazioni dei pannelli in un’ottica  multifunzionale: recupero delle acque piovane, ombreggiatura dall’eccessivo irraggiamento solare, protezione dal gelo e produzione di energia che, per rendere veramente efficace l’intervento, viene utilizzata per coprire i fabbisogni aziendali, rendendo l’allevamento indipendente a livello energetico. Anche le macchine agricole si stanno muovendo verso sistemi di trazione elettrici, nel tentativo di abbandonare la trazione a gasolio che, al momento, è il combustibile più usato in agricoltura.

Facciamo in modo che gli sforzi degli allevatori siano visibili a tutti. Ognuna delle pratiche di mitigazione indicate porta ad un abbassamento delle emissioni aziendali che differenzia moltissimo una azienda dall’altra. Queste differenze non sono facilmente misurabili e sono difficilmente incluse nelle stime delle emissioni aziendali, ancora meno possono rientrare nel sistema nazionale di stima adottato dall’ISPRA. Diventa invece sempre più importante per gli allevatori “dimostrare” di partecipare agli sforzi che si stanno facendo per raggiungere gli obiettivi di riduzione.

Per questo motivo, anche da parte di AIA nell’ambito del Progetto LEO, si stanno raccogliendo le informazioni essenziali per arrivare a offrire un calcolo che tenga conto delle azioni di mitigazione adottate dal singolo allevatore, anche ai fini di eventuali certificazioni che potrebbero essere introdotte. Le aziende, in ogni modo, possono effettuare un monitoraggio dei gas attraverso device di PLF (Precision Livestock Farming), largamente considerati come “la tecnologia che può determinare miglioramenti di efficienza del singolo allevamento”, apportando effetti migliorativi su salute, benessere animale, ambiente ed economia aziendale (Carillo e Abeni, 2020).