27 Gennaio 2022

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Alla ricerca della resistenza genetica alla mastite: il progetto LACTSAN

UNICATT

La mastite, una infiammazione di origine batterica della ghiandola mammaria, è una delle patologie più diffuse nell’allevamento delle bovine da latte. La sua presenza, anche nelle forme lievi (mastiti subcliniche), riduce la capacità produttiva e il benessere delle vacche e richiede trattamenti con farmaci antibatterici. Il contrasto alla diffusione della mastite nelle stalle (in parole più tecniche la riduzione della sua incidenza) è legato alla capacità di diagnosticare la presenza dei batteri responsabili prima della comparsa di sintomi clinici, identificando al contempo le potenziali cause di contagio. Ma anche alla possibilità di aumentare, attraverso la selezione, la resistenza genetica degli animali con il grande vantaggio di ridurre il ricorso a farmaci antibiotici.

La resistenza genetica può essere definita come la capacità dell’organismo di ostacolare lo sviluppo di un determinato patogeno e limitare il danno provocato. I meccanismi genetici che controllano la resistenza possono essere categorizzati in due tipologie: immunità congenita, ossia l’inibizione della acquisizione della infezione per la presenza di barriere come pelle, secrezioni, lisozima del sebo, ecc. e produzione di macrofagi, cellule dendritiche, leucociti, cellule natural killer e attivazione del sistema del complemento; immunità acquisita o “adattativa”, cioè la capacità di produrre antigeni e, immunoglobuline, linfociti B e mastocellule che producono anticorpi.

Selezionare animali resistenti alla mastite è complesso. Innanzitutto, è necessario registrare sistematicamente e su molti animali i dati correlati alla potenziale infezione batterica della mammella. Ad oggi, per ragioni legate ai costi di rilevamento e analisi e alla semplicità operativa, viene raramente determinato il batterio specifico causa della comparsa della patologia, ma viene utilizzato per la diagnosi di presenza un indicatore indiretto: il numero di cellule somatiche nel latte. Le cellule somatiche sono infatti un segnale della attivazione della risposta immunitaria della mammella a seguito di una infezione. Inoltre, l’ereditabilità del carattere resistenza, ossia la quota della variabilità che si riscontra nella popolazione trasmissibile alla progenie, è bassa; quindi, il processo di selezione è poco efficace.

Un aiuto importante può oggi arrivare dagli sviluppi nel campo della genetica molecolare e in generale delle cosiddette scienze “omiche”, tra cui la genomica. Proprio sfruttando queste novità tecnico-scientifiche e per dare un contributo concreto alla ricerca per il benessere degli animali da latte, L’università Cattolica di Piacenza e l’università degli studi di Padova hanno realizzato il progetto LATSAN -Strumenti innovativi nello studio e gestione dello stato sanitario della mammella e del benessere animale finalizzati al miglioramento della qualità nutrizionale e dell’attitudine casearia del latte. L’obiettivo del progetto è fare un passo avanti nella comprensione dei complessi meccanismi fenotipici (legati alla espressione visibile dei caratteri genetici), genomici (legati alla presenza delle diverse varianti genetiche) e trascrittomici (legati all’insieme degli RNA messaggeri di una cellula dai quali, attraverso il processo di traduzione, derivano le proteine) alla base della suscettibilità o resistenza degli animali alla mastite. Il progetto ha raccolto dati sulla qualità del latte, sul genoma (DNA) e sul trascrittoma (RNA) di diverse centinaia di animali, alcuni dei quali con conclamata presenza di mastite. Le analisi dei complessi dati prodotti dal progetto sono ancora in corso, ma i primi risultati risultano essere molto interessanti.

Ad esempio, sono stati confermati alcuni indicatori precoci della infiammazione mammaria facili da misurare routinariamente e quindi applicabili su larga scala come, ad esempio, il contenuto di lattosio, il principale zucchero del latte. Negli animali coinvolti nel progetto LATSAN si è infatti riscontrata una diminuzione significativa del contenuto di lattosio, e questo è stato riscontrato anche in soggetti con infezioni lievi. Analogamente, negli animali con mastite il pH del latte, ossia la sua acidità, è risultata significativamente minore rispetto ad animali sani. Infine, sempre negli animali malati, la concentrazione di un particolare gruppo di acidi grassi del latte chiamati “de novo” perché direttamente sintetizzati nella mammella è risultata marcatamente inferiore (anche del 17%).

Lattosio, pH e acidi grassi de novo sono promettenti indicatori di infezioni mammarie da affiancare alle cellule somatiche per la diagnosi precoce della mastite e, al contempo, utili fenotipi da analizzare insieme ai dati genomici per identificare geni e regioni del genoma potenzialmente associati alla resistenza/suscettibilità alla mastite, verso l’identificazione dei caratteri genetici per la selezione di animali capaci di resistere alle infezioni.