3 Maggio 2022

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DFI: parametro predittivo della fertilità nei suini

Istituto Lazzaro Spallanzani

La fertilità nei suini è fra gli aspetti più importanti per il rendimento economico degli allevamenti suinicoli, a partire da quelli di scrofe da riproduzione. Ma a cosa si deve badare affinché questa sia a livelli ottimali? E quali caratteristiche devono avere gli spermatozoi dei verri?

Estremizzando il concetto per poterlo ricondurre alla sua vera essenza, lo spermatozoo maschile può essere definito come un “corriere” particolarmente efficiente del DNA paterno altamente protetto dalla sua organizzazione in cromatina molto compatta e stabile. Tale struttura riduce le dimensioni nucleari facilitando il movimento della cellula e l’inattività del genoma durante il suo tragitto verso l’ovocita. L’organizzazione della cromatina avviene durante la maturazione dello spermatozoo all’interno dei testicoli. Durante questo processo, il DNA è fisiologicamente soggetto a potenziali frammentazioni che vengono successivamente riparate da enzimi specializzati.

È proprio su questo livello di compattamento che fattori di varia natura, quali lo stress ossidativo e il calore, possono indurre un danneggiamento che, in mancanza di corretti processi riparativi, si ripercuote sulla fecondazione e il successivo sviluppo embrionale, fasi a loro volta correlate al tasso di gravidanza e di aborto.

Lo stato dell’integrità della cromatina spermatica è stato oggetto di numerosi studi in quanto già da tempo sono sorte evidenze che l’eccessiva frammentazione del DNA sia in qualche modo correlata alla fertilità maschile. Tuttavia, le analisi dei parametri standard di concentrazione, motilità e integrità di membrana che forniscono informazioni riguardanti la qualità seminale, sebbene imprescindibili, non sono sufficienti ad individuare tali anomalie a carico del DNA e non sono, quindi, in grado di escludere tutte le potenziali cause di un’eventuale ridotta fertilità.

Attualmente esistono diverse modalità d’indagine per determinare le specifiche alterazioni della cromatina e comprendono sia le classiche tecniche citologiche in microscopia che i più avanzati approcci in citofluorimetria. In particolare l’SCSA (Sperm Chromatine Structure Assay), la tecnica più affidabile ed applicata anche da IS, valuta lo stato di integrità della cromatina nucleare a seguito di un trattamento denaturante acido che rende il DNA meno compatto e più esposto ai danneggiamenti. Una volta trattato, il metodo di indagine sfrutta le proprietà metacromatiche di un colorante in grado di emettere fluorescenza verde se legato al DNA a doppio filamento (normale) o rossa, se legato al DNA a singolo filamento (anormale).

Il parametro che ne deriva è rappresentato dalla DFI (DNA Fragmentation Index), che esprime la percentuale di spermatozoi anormali su quelli totali. Per questo parametro, i numerosi studi condotti hanno consentito di stabilire i valori soglia correlati al potenziale di fertilità di un soggetto.

In particolare, nei suini è stato evidenziato come la stima della DFI possa consentire di individuare e distinguere soggetti con bassa, media ed alta fertilità. È accertato che i maschi infertili presentano un danno al DNA anche di due volte superiore rispetto ai soggetti fertili, con ricadute sulla fertilità misurata come numero di suinetti nati vivi. I dati presenti in letteratura concordano sul fatto che la dimensione della nidiata possa essere significativamente ridotta quando il valore della DFI è superiore al 3% e che la soglia risulta essere variabile in funzione della razza.

Inoltre, i numerosi studi condotti hanno dimostrato come anche le diverse fasi della lavorazione del materiale seminale suino possano compromettere l’integrità del DNA a diversi livelli: la conservazione refrigerata, ma soprattutto l’ancora poco diffusa attività di crioconservazione possono aumentare il valore di DFI anche del 20% su soggetti con DFI medio alta già su seme fresco. Ecco perché, alla luce di queste informazioni, potrebbe risultare di grande utilità distinguere differenti fasce di valori di DFI in cui poter inserire i futuri riproduttori, partendo dalla valutazione di questo parametro sia sul seme fresco che refrigerato e contestualmente su seme congelato.

A tale proposito, come è noto la tecnica del congelamento del seme nel suino è ancora una pratica di nicchia. Questo nonostante il suo utilizzo aprirebbe innumerevoli opportunità di crescita dell’intero settore, anche grazie ai vantaggi legati alla più efficiente gestione delle dosi ed alla maggiore disponibilità di seme dei migliori riproduttori presenti sul mercato nazionale ed internazionale. Concludendo, lo stato di frammentazione del DNA spermatico è un indice che aiuta a prevedere i possibili risultati che si possono ottenere in campo in termini di successo nella fecondazione e di sviluppo embrionale, e quindi di fertilità. Essendo quest’ultima un parametro fondamentale per l’allevamento di qualunque specie, e il suino non fa eccezione, è facile pensare che una più approfondita conoscenza delle potenzialità fecondanti di un maschio riproduttore possa essere di grande vantaggio economico per l’azienda. L’efficienza nella riproduzione è senza dubbio la base di qualunque pratica allevatoriale, sia essa finalizzata alla selezione che alla produzione.