a cura di: Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”
La proteomica è un settore della biologia molecolare che si focalizza sull’analisi completa delle proteine presenti in una cellula o un microrganismo. Più specificamente, studia il profilo delle proteine, le loro interazioni e funzioni. Una tecnica che ha aperto nuove strade verso la comprensione dei meccanismi molecolari, permettendo agli scienziati di avere uno sguardo più profondo e dettagliato su come gli organismi viventi funzionano e come reagiscono all’ambiente.
Proprio la proteomica è al centro di due lavori scientifici che approfondiscono il ruolo di questa disciplina nella comprensione del comportamento e dell’adattamento di Listeria monocytogenes, un microrganismo ben noto nel mondo della microbiologia e dell’industria alimentare. Listeria rappresenta infatti una continua sfida per i ricercatori data la sua capacità di causare la listeriosi, una malattia grave soprattutto per pazienti immunodepressi, anziani, donne incinte e neonati. A questo bisogna aggiungere la sua diffusione ubiquitaria, in particolare negli ambienti di produzione alimentare, un dato che lo rende un argomento di cruciale importanza nel campo della sicurezza alimentare. La sfida di prevenire la contaminazione alimentare da Listeria monocytogenes non riguarda però solo il microrganismo stesso, ma anche la complessità dei cibi che consumiamo. Gli alimenti sono infatti matrici complesse in cui i batteri possono subire cambiamenti fisiologici e strutturali che non solo permettono loro di resistere ma anche di crescere ed esprimere geni associati a una maggiore virulenza.
La prima ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Foods, ha utilizzato metodi proteomici per analizzare come Listeria reagisce a diverse condizioni di stress, adattandosi a condizioni ambientali avverse come acidità, basse temperature e alte concentrazioni di sale. “Volevamo studiare in dettaglio – spiega Federica D’Onofrio, ricercatrice dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo (IZSAM) – come il microrganismo modula la sua espressione proteica in risposta alle situazioni ambientali in cui si trova. Questo ci ha permesso di osservare come alcune proteine, essenziali per la virulenza, vengano prodotte solo in determinate condizioni di stress”.
Il secondo studio, pubblicato su Frontiers in Microbiology, ha ulteriormente sottolineato l’importanza della proteomica nell’esplorazione dei meccanismi di resistenza di Listeria. Questa ricerca, in particolare, ha coinvolto anche la capacità di formare biofilm (comunità di microrganismi organizzate e protette da una matrice polimerica) come strategia di resistenza. “Abbiamo confrontato – continua D’Onofrio – un ceppo isolato da matrice alimentare e un ceppo di riferimento, per vedere se il ceppo ‘trovato in natura’ avesse maggiore capacità di esprimere proteine coinvolte nei parthway di resistenza allo stress e virulenza rispetto a quello di riferimento”. Le tecniche avanzate utilizzate, come la spettrometria di massa, hanno fornito una mappa dettagliata dei meccanismi di risposta del microrganismo, mettendo in evidenza oltre mille proteine.
Unendo le informazioni provenienti da entrambi gli studi, emerge un quadro più ampio delle strategie di adattamento di L. monocytogenes, con una comprensione più profonda di questo patogeno che potrà tradursi in strategie innovative per il suo controllo nel contesto alimentare. “La capacità di identificare e caratterizzare le proteine – dice Mirella Luciani, del Reparto Immunologia e Sierologia dell’IZSAM, ultima firmataria dei due lavori scientifici – può offrirci informazioni cruciali su come questi batteri riescano a sopravvivere in diverse condizioni, guidandoci a strategie più efficienti per prevenire e controllare la contaminazione dei cibi. I nostri risultati dimostrano la potenza degli approcci bioinformatici e proteomici combinati nell’analizzare grandi quantità di dati e identificare schemi e associazioni che sarebbero difficili da rilevare utilizzando metodi di laboratorio tradizionali. È una metodologia che in futuro potrà essere applicata anche ad altri organismi patogeni per ottenere una migliore comprensione della loro biologia e della loro capacità di provocare infezioni”.