5 Settembre 2023

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Microalghe: potenziale nuova fonte proteica sostenibile per la mangimistica

a cura di: Istituto Sperimentale Italiano Lazzaro Spallanzani, Loc. La Quercia, 26027, Rivolta d’Adda (CR), Italy

Si stima che la popolazione mondiale possa raggiungere i 9,8 miliardi entro il 2050 e pertanto, la produzione alimentare dovrà essere raddoppiata entro tale data per poter soddisfare le crescenti richieste.

Attualmente l’UE ha un deficit proteico del 70-80%, e importa massicciamente alimenti (soprattutto soia) da paesi terzi. Tenuto conto dello scenario demografico, vi è una forte preoccupazione riguardo all’approvvigionamento proteico in grado di soddisfare tutti i fabbisogni necessari per l’alimentazione umana, quella ittica e del bestiame.

Al settore agricolo viene pertanto richiesto un enorme sforzo che comporta grandi trasformazioni a costi elevati, atti anche a evitare impatti drammatici sul clima e sull’ambiente. L’integrazione con ingredienti proteici alternativi, facili da produrre ed economici, potrebbe in parte alleviare la pressione sulla produzione agricola, almeno per provvedere all’approvvigionamento animale.

In questi ultimi anni sta crescendo l’interesse per microalghe e insetti quali fonti proteiche alternative da utilizzare in mangimistica. In particolare le microalghe, essendo microrganismi unicellulari fotosintetici, mixotrofici o eterotrofi, sono in grado, con semplici requisiti di crescita, di accumulare grandi quantità di nutrienti (proteine, lipidi e carboidrati). Alcune specie microalgali, come Spirulina, Chlorella e Nannochloropsis hanno un contenuto proteico compreso tra il 40 e il 65% del loro peso, con livelli di amminoacidi essenziali simili a quelli delle uova.

Inoltre, possono accumulare elevate quantità di lipidi, soprattutto quando crescono in condizioni di stress e presentano in genere un profilo di acidi grassi nutrizionalmente prezioso. I carboidrati costituiscono il 10-25% del peso secco delle microalghe, sotto forma di amido, cellulosa, zuccheri e altri polisaccaridi.

A differenza degli insetti, le microalghe producono inoltre preziose molecole bioattive, con attività antiossidante o antinfiammatoria, come pigmenti (ficobiline e carotenoidi), acidi grassi omega-3, vitamine e polisaccaridi (ad esempio i β-glucani). Tali biomolecole rendono questi microrganismi estremamente attraenti per il settore alimentare/mangimistico, in quanto possono essere sfruttati non solo come semplici fonti proteiche, ma anche come veri e propri ingredienti funzionali. Suggerendo oltretutto, come strategia di valorizzazione, l’uso diretto dell’intera biomassa anziché l’estrazione proteica. Ciò consente infatti di diminuire i costi di produzione, promuovendo la valorizzazione dell’intero contenuto proteico (attualmente, gli approcci convenzionali utilizzati per le microalghe portano a un recupero delle proteine inferiore al 20%).

Gli studi condotti negli ultimi anni dimostrano che le microalghe, integrate nel mangime di specie commerciali di interesse zootecnico, sia terrestri che acquatiche, migliorano significativamente le qualità nutrizionali delle carni e derivati e la salute degli animali (vedi schema descrittivo riportato in Figura 1 sulle applicazioni microalgali e i relativi vantaggi).

Figura. 1: applicazioni e vantaggi delle microalghe integrate nel mangime (Dineshbabu et al., 2019)

Nonostante la natura promettente delle microalghe come alimento nel settore mangimistico, il loro sfruttamento è ad oggi ostacolato dagli alti costi di produzione ed è per questo motivo che il loro uso è per ora essenzialmente limitato a prodotti ad alto valore aggiunto (alimenti, integratori alimentari, cosmetici, prodotti farmaceutici). Le ragioni di tale problema sono legate all’uso di colture pure, coltivate su terreni di crescita costituiti da nutrienti di origine sintetica e utilizzando illuminazione artificiale, agendo nell’ottica dell’intensificazione e della standardizzazione della produzione, nonché della conformità normativa.

Questo approccio si traduce però anche in una sostenibilità ambientale non ottimale. Al contrario, i massimi benefici economici e ambientali sono attesi per colture miste, cresciute su sottoprodotti agroalimentari o flussi di scarto, utilizzando illuminazione solare. In queste condizioni, i costi di produzione possono essere ridotti per le proteine a valori di circa 2,5 – 3 €/kg (molto più vicini ai costi delle fonti convenzionali, di circa 2 €/kg e 0,7 €/kg rispettivamente per le proteine animali e della soia), con un impatto ambientale significativamente ridotto.

L’Istituto Spallanzani, con il Polo delle Microalghe, in questi ultimi anni ha sviluppato delle bioraffinerie alla scala pilota per la valorizzazione della biomassa microalgale in ambito mangimistico nel settore acquacoltura, su due specie d’interesse zootecnico (storione e orata), ottenendo dei risultati interessanti in termini di performance di crescita e salute degli animali.

Miglioramenti tecnologici, nella coltivazione e nella raccolta, sono attualmente in corso su scala globale, nell’ottica di rendere le microalghe e i relativi sottoprodotti più economicamente sostenibili, redditizi e disponibili.